trullo a calce
trullo a calce

Allattare” è il rito che si ripete ad ogni inizio della bella stagione per restituire il bianco candore  alle pareti esterne di trulli e casedd.

U lattator è la persona che se ne occupa, di grande esperienza ed armato dei pochi e semplici attrezzi necessari: pennelli, secchio e mazze di varia lunghezza che consentono di raggiungere ogni angolo delle pareti da imbiancare, anche quelli più elevati.

La pittura utilizzata è il latte di calce, ottenuto diluendo la calce viva o spenta in semplice acqua. Oltre a restituire il bianco candido alle tipiche costruzioni della Valle d’Itria,  il latte di calce svolge un’efficace azione disinfettante nei confronti di muffe e batteri mantenendo inalterata la caratteristica di traspirabilità della pietra naturale, indispensabile per evitare depositi di umidità e condensa.

trullo a calce

In definitiva i nostri antenati avevano saputo individuare la migliore tecnica per pitturare le pareti in pietra sotto il profilo della praticità, dell’estetica e della funzionalità e questo la dice lunga sulla capacità dei nostri avi! 

Una pratica ed economica “allattata” oltre all’elevata resa estetica, il bianco sgargiante che sposa perfettamente le tonalità del grigio della pietra calcarea e l’azzurro intenso dei cielo di puglia,  preserva nel modo più semplice e naturale le pareti di trulli e delle casedd garantendone la traspirazione e, grazie all’azione alcalina della calce, impedisce il proliferare di muffe, funghi e microrganismi nocivi.

Ma l’allattatura è anche un vero e proprio rito, che deriva dalla propensione, piuttosto diffusa nel territorio dei trulli, a mantenere sani e puliti gli ambienti abitati e che si trasforma nell’orgoglio di mostrarli agli altri candidi e profumati. Passate le intemperie invernali, le piogge e l’insistente vento di tramontana, l’arrivo dei primi tepori primaverili è un invito a ripulire, riorganizzare, rifarsi belli per prepararsi alla bella stagione e l’allattatura è  il rito che ne sancisce l’imminente arrivo.

foto di Anna Flora Marinò: bellissimo gruppo di trulli completamente imbiancato a calce, sulla strada Ostuni-Martina, nei pressi di contrada Galante  


La calce e l’arte di “allattare”

Il pennello utilizzato per allattare in dialetto si chiama u scuparidd, con setole rigorosamente in crine di cavallo. Il latte di calce si otteneva dalle pietre di calce cotta (o calce viva) facendole sciogliere in acqua. Questa operazione era molto pericolosa in quanto appena le pietre di calce venivano a contatto con l’acqua si otteneva una violenta reazione chimica che sprigionava così tanto calore da provocarne l’ebollizione istantanea. Gli schizzi provocati dall’ebollizione hanno causato in passato non poche ustioni agli arti di chi era addetto a questa pratica e purtroppo anche episodi di cecità nei casi in cui gli schizzi avessero colpito gli occhi – Le pietre ribollendo nell’acqua si scioglievano e diventavano gelatinose. Tutto questo avveniva in quello che era chiamato u p’lon da calc o a calc’ner un pozzetto esterno piuttosto capiente utilizzato annualmente per questo scopo. La calce si lasciava “maturare” affinchè assorbisse acqua a sufficienza per poter essere utilizzata agevolmente. Al latte di calce veniva aggiunto “il blu”, lo stesso utilizzato per il bucato, per conferire quella tonalità di bianco più vivo e sgragiante. Le palline del blu venivano rapprese in un pezzo di stoffa, “u pupidd” che si legava ai bordi del secchio della calce e lo si immergeva e smuoveva per scioglierne una maggiore quantità. Nella foto, di Donato Buonfrate, u lattator in azione a lavoro quasi ultimato. La parete dopo poche ore sarà completamente asciutta e di un bianco candido che durerà per tutta l’estate.